_rubrica culturale
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Buongiorno e benvenutə in questo nuovo angolo CIFRA: la nostra RUBRICA CULTURALE!
Come sapete – o forse no, nel caso lo scoprirete adesso – CIFRA è un collettivo dal “multiforme ingegno”, nel senso che siamo pieni di qualità e conoscenze diverse!
Questo è dato dal fatto che ciascunə di noi si è formato in ambiti molto differenti: teatro, circo, danza, arti figurative, scienze naturali, DAMS, antropologia… e altro! Non siamo qui per esporvi il curriculum di compagnia, ma per introdurvi a una nuova forma d’arte che ci piacerebbe esplorare: la scrittura e la diffusione culturale in ambito artistico.
Non sappiamo bene dove ci porterà questa iniziativa, però si dice che “chi ben comincia…” E, allora, COMINCIAMO!
La primissima cosa che vorremmo presentarvi è il pensiero che sta dietro al nostro nome: CIFRA. Si tratta di una sigla formata dalle iniziali di
Collettivo Itinerante Formazione Ricerca Azione
i cinque pilastri (l’Islam non c’entra niente) su cui poggia la nostra compagnia. In questa pagina di rubrica parleremo della prima parola:
Collettivo
La parola collettivo viene dal latino collectivus e indica ciò che raccoglie insieme, ciò che è comune a più persone.
Questo è il senso che anima il nostro stesso collettivo artistico, che cerca di valorizzare ciò che c’è di comune e unire le divergenze stesse, insieme alle competenze, per portare avanti la creazione e produzione artistica, creando benefici condivisi.
Dal punto di vista storico, le formazioni collettive in ambito artistico in Europa hanno avuto corsi e ricorsi: agli albori del ‘900 in Europa le avanguardie artistiche portatrici di sensibilità nuove e disturbanti rispetto alla norma, indagarono anche modalità originali di aggregazione e pratiche artistiche eseguite collettivamente, alcune con forte impatto politico.
Ricordiamo a questo proposito Rudolf Laban e la sua “riforma della vita” con la creazione di una vera e propria comunità artistica presso Monte Verità e la creazione della danza libera, che ha rivoluzionato la sensibilità del corpo in movimento.
Arriviamo agli anni 60/70 del ‘900 per ritrovare un forte spirito sperimentatore che vuole rompere con l’individualismo borghese, e cercare forme artistiche che rimettano al centro la comunità umana e i suoi valori come contrasto alla performatività e competizione esasperata.
Da una prospettiva interculturale, la danza svolge molteplici funzioni in seno alle società, ma sicuramente risponde a una funzione aggregativa, oltre che figurarsi come pratica collettiva di rigenerazione della società e di narrazione della stessa. Per approfondimenti vedere il pensiero dell’antropologo Victor Turner e di De Martino per un focus specifico sul carattere conservativo e rituale della danza nelle società rurali.
Le arti e la danza, in questo caso, sono una forma di espressione umana che racconta molto del periodo storico in cui si vive e delle aspirazioni, i timori e le tendenze delle società. A questo proposito vediamo nascere la Danza di Comunità come risposta al bisogno di relazione, di partecipazione e di giustizia sociale che viene raccolto da alcune personalità particolarmente carismatiche come, appunto, Laban in Europa e Anna Halprin in America, pioniera dell’uso della danza come vera e propria cura contro la discriminazione, l’isolamento e il razzismo.
La danza di comunità fa suo il motto di Laban “ogni essere umano è un danzatore”. Danzare è possibilità intrinseca all’essere umano in quanto tale, da non relegare strettamente al professionismo. Così, emerge il lato politico della danza stessa, che rigenera il corpo sociale attraverso pratiche non consumistiche e narrative.
In Italia abbiamo molteplici esperienze in questo senso tra cui ricordiamo i Sosta Palmizi, soprattutto per la loro iniziale modalità di creazione in una dimensione collettiva e i Kinkaleri, collettivo artistico attivo ancora oggi con un assetto simile a quello con cui hanno iniziato, sebbene ridotto di numero. I Sosta Palmizi sono stati un collettivo di artisti che, a seguito del lavoro con Carolyn Carlson, ha deciso di mettere in campo un nuovo paradigma creativo, rivoluzionando il panorama della danza italiana. I Kinkaleri, forse ancora di più, incarnano un esempio di collettivo artistico di formazione molto eterogenea, con diverse competenze e formazioni dei componenti stessi, spaziando dalla danza, al teatro, alla performance, ma anche all’ambito delle arti visive.
Dal punto di vista creativo, il collettivo tenta di misurarsi con rapporti orizzontali e non gerarchici, svelando tutta la sua fragilità e la sua forza.
In ultima analisi, gettiamo uno sguardo alla dimensione del potere: quando nelle organizzazioni politiche e sociali prevale l’aspetto gerarchico e piramidale, questo si riflette in come noi pensiamo e strutturiamo i rapporti umani e le pratiche artistiche stesse. In questo senso, le formazioni e le spinte collettive sono anche una risposta a questo, e un tentativo di far emergere altre istanze che rimarrebbero, altrimenti, soffocate e inespresse.
Con questo breve excursus sulle basi da cui partiamo e la modalità creativa che desideriamo portare avanti nella contemporaneità, si chiude la prima puntata della nostra Rubrica.
Come abbiamo scritto, il Collettivo ricerca una dimensione comunitaria proprio perché crede nel cambiamento sociale possibile, per dare un esempio e intraprendere la necessaria ricerca di strutture gregarie alternative in quest’era di grandi movimenti e cambiamenti.
Noi ci ispiriamo a una modalità orizzontale dettata dall’organizzazione stessa della natura, che non riconosce padroni o gerarchie, ma piuttosto punta a una coesistenza di funzioni diverse che si esprimono nei tempi e spazi necessari:
Un bosco non è un insieme di alberi diversi, ma una comunità di individui. Gli alberi collegati attraverso complesse reti radicali si scambiano tutto ciò di cui necessitano
(Stefano Mancuso, La pianta del mondo)
Per concludere, vi lasciamo con una poesia di Chandra Livia Candiani, artista a cui amiamo ispirarci durante le nostre creazioni artistiche, che ci pare esprimere bene l’immagine di relazione tra singolo e collettività, Io è tanti, estratto dalla sua raccolta La bambina pugile:
Io è tanti
e c’è chi crolla
e chi veglia
chi innaffia i fiori
e chi beve troppo
chi dà sepoltura
e chi ruggisce.
C’è un bambino estirpato
e una danzatrice infaticabile
c’è massacro
e ci sono ossa
che tornano luce.
Qualcuno spezzetta immagini
in un mortaio,
una sarta cuce
un petto nuovo
ampio
che accolga la notte,
il piombo.
Ci sono parole ossute
e una via del senso
e una deriva,
c’è un postino sotto gli alberi,
riposa
e c’è la ragione che conta
i respiri
e non bastano
a fare tempio.
C’è il macellaio
e c’è un bambino disossato
c’è il coglitore
di belle nuvole
e lo scolaro
che nomina e non tocca,
c’è il dormiente
e l’insonne che lo sveglia
a scossoni
con furore
di belva giovane
affamata di sembianze.
Ci sono tutti i tu
amati e quelli spintonati via
ci sono i noi cuciti
di lacrime e di labbra
riconoscenti. Ci sono
inchini a braccia spalancate
e maledizioni bestemmiate
in faccia al mondo.
Ci sono tutti, tutti quanti,
non in fila e nemmeno
in cerchio,
ma mescolati come farina e acqua
nel gesto caldo che fa il pane:
io è un abbraccio.